The Lamps Are Going Out di Ernesto Maglio

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Londra, 3 agosto del 1914. Il tramonto sulla capitale doveva essere bellissimo, eppure un uomo lo guarda tristemente dalla finestra del suo ufficio sopra San James Park.
E’ Edward Grey, ministro degli esteri inglese. Da poche ore il parlamento britannico ha votato l’entrata in guerra dell’Inghilterra al fianco della Francia nel primo conflitto mondiale.
Il ministro Grey guarda con nostalgia le luci di Londra che si spengono per la prima serata di guerra. “Le luci sull’Europa si stanno spegnendo, e non le rivedremo più nel corso della nostra vita”, disse in quell’occasione Grey al suo segretario. Fu uno dei pochi a capire fin da subito che il primo conflitto moderno della storia sarebbe durato più di quel che molti prevedevano.
Ed è proprio da questa sua citazione che prende il nome LAMPS ARE GOING OUT Compass Games 2a edizione intavolato questa mattina insieme a Vico Montomoli. Il gioco di Tim Allen (Ottoman Sunset, Zulus on the Ramparts!…) si pone l’obiettivo di una simulazione strategica del conflitto. Un’alternativa, direbbe qualcuno, più accessibile, a Path of Glory.
La nostra partita ha visto la capitolazione militare della Russia al settimo turno ( dei 16 complessivi) ed un conseguente rafforzamento del fronte occidentale da parte dei tedeschi, che alla lunga ha permesso la riuscita invasione di Parigi e la conseguente resa della triplice intesa.
Il gioco fa uso di alcune decise astrazioni (il fronte in Africa, il conflitto aereo e navale, i progressi tecnologici), sintetizza il conflitto terrestre a livello di armate con stato attivo e consumato (vince il d6 più alto con un ristretto numero di modificatori) e giunge presto alla situazione di stallo caratteristica del conflitto.
Complici di una forse eccessiva linearità sono anche le carte evento, una per turno per fazione, in sequenza temporale, pescate casualmente: effetti diretti, non incisivi, poco controllabili: non lasciano spazio alla sorpresa e alla programmazione.
La ricercata semplicità, lo scarso numero di counters e il limitato numero di risorse, ci sembra, lasciano poche scelte tattiche al giocatore, che si trova spesso nella necessità di azioni obbligate o nella ricerca di offensive militarmente irrilevanti, ma sfiancanti l’iniziativa e la capacità produttiva dell’avversario.
Il conflitto, lo si intuisce presto, più che sulla geografia della mappa, si misura in fatti sull’invisibile track dei punti produzione. E solo insistenti offensive, corroborate da una buona dose di fortuna, possono intaccare a poco a poco la capacità di rigenerare le armate dell’avversario.
Con il tempo e l’evoluzione tecnologica, le possibilità si ampliano di misura.
L’esperienza ci lascia il sapore del cinico conteggio, della gelida economia di guerra, ci si sente come i generali di Kubrick in “Orizzonti di gloria” a prevedere la percentuale di caduti in ogni offensiva. Un gioco evocativo, senza dubbio, ma, secondo noi poco entusiasmante. Chiudiamo la sessione con il rimorso di tante vite spese e, forse, con quello della modernità che non vince sulla tradizione, ossia quello di non aver messo sul tavolo Path of Glory. Ma gli daremo una seconda opportunità.
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